Cantine spumante

Se è vero che lo Champagne propriamente detto rappresenta uno dei vanti dell’enogastronomia francese, è altrettanto vero che esistono decine e decine di prodotti di cui gli italiani possono essere parimenti fieri. Un esempio? I vini spumanti: considerarli cugini dello champagne francese è tutt’altro che un errore, perché le caratteristiche organolettiche e i metodi di produzione sono identici a lunghi tratti. Quando si parla di “spumante” si fa riferimento ad un vino che all’apertura della bottiglia rilascia spuma e bollicine, derivanti dall’anidride carbonica presente all’interno della confezione. Lo spumante è, al pari dello champagne, un vino frizzante ed estremamente piacevole da sorseggiare: dunque quali sono le differenze essenziali tra i due prodotti? La prima, fondamentale, è relativa alle zone di produzione: lo champagne per eccellenza porta nel nome la provenienza (Francia settentrionale); la seconda ha a che vedere con il metodo di produzione. Secondo la tradizione lo champagne nacque nell’abbazia di Hautvillers grazie all’intuizione di Dom Pierre Perignon, ... continua

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      prosegui ... , il monaco benedettino che capì prima di tutti la possibilità di ottenere vino frizzante da uve bianche e nere. Tuttavia, sono note leggende che attribuiscono tale primato ad un medico originario di Fabriano, nelle Marche, tale Francesco Scacchi, che mise su carta il metodo detto poi Dom Perignon già nel 1622. In ogni modo, per sorseggiare un bicchiere del primo spumante italiano bisognerà aspettare il 1865 e l’opera dei Fratelli Gancia: produssero un vino frizzante – considerato uno champagne italiano a base di uve moscato – eliminando del tutto gli sciroppi aromatici che i francesi introducono in fase di lavorazione. Contrariamente a quanto si possa pensare, non tutti i vini spumanti sono uguali, per diverse ragioni. Lo spumante autentico deve essere prodotto in maniera naturale: l’anidride carbonica che produce le bollicine e dà la “carica” al tappo deve formarsi in seguito alla seconda fermentazione. Sono spumanti di bassa qualità quelli cosiddetti gassificati, che in altre parole diventano effervescenti per mezzo dell’aggiunta di anidride carbonica a bassa temperatura. Come si fa a produrre un vino spumante? Esistono sostanzialmente due metodi di lavorazione delle uve per l’ottenimento di un prodotto che abbia queste caratteristiche. Il primo è quello utilizzato per la produzione dello champagne francese, detto metodo “champenois” o metodo classico, e va per la maggiore; il secondo è conosciuto come metodo Charmat o metodo Martinotti. Come abbiamo già osservato nella sezione relativa allo Champagne francese, il metodo champenois è basato sulla doppia fermentazione delle uve: la prima avviene – come per tutti i vini fermi – all’interno dei tini; la seconda, quella fondamentale per la realizzazione del perlage, ha luogo all’interno delle bottiglie. In questa fase, oltre alle bollicine, fanno la loro comparsa i residui dei lieviti utilizzati per la lavorazione, i quali vengono separati dal vino per mezzo delle pupitres, strutture di legno incernierate da manovrare quotidianamente per portare la “feccia” a contatto con il tappo, per poi eliminarla. Naturalmente, un elemento di importanza vitale nella produzione dello spumante con il metodo classico è la qualità delle uve. Innanzitutto è preferibile evitare vitigni particolarmente aromatici che daranno un sapore troppo deciso a quello che viene considerato il vino delicato per eccellenza. Se ci si serve di uve bianche, lo spumante verrà riconosciuto come “blanc de blancs” (vino bianco da uve bianche), mentre se si utilizzano bacche nere parleremo di “blanc de noirs” (vino bianco da uve nere). In questo ambito, lo champagne francese e lo spumante italiano vanno praticamente a braccetto: sia nell’uno che nell’altro caso, si utilizzano uve Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e Pinot meunier, anche se entro i confini del Belpaese sono diffusissime anche altre uve, tipiche dell’enogastronomia italiana. Soddisfano produttori e consumatori, per esempio, il Verdicchio delle Marche, il Torbato in Sardegna e l’uva Inzolia, originaria della Sicilia. Questi vitigni beneficiano di condizioni geologiche ed ambientali perfette per ottenere una buona spumantizzazione: i terreni sono calcarei e sempre ben drenati, il clima è dolce ma caratterizzato da una discreta escursione termica tra giorno e notte, e le viti sono esposte al sole a punto giusto. Tra le altre cose, in ambito mondiale l’Italia può vantare una delle più eccellenti produzioni vinicole del mondo, sia dal punto di vista qualitativo che della varietà. La patria dello spumante metodo classico è sicuramente il nord Italia: Franciacorta, Oltrepò Pavese, ma anche Langhe e Monferrato, sono vere e proprie roccaforti delle bollicine Made in Italy. Scendendo più a sud, risultati soddisfacenti si ottengono anche nella zona del San Severo DOC: la grande esposizione ai raggi solari e la scarsità delle piogge facilitano la realizzazione, con uve autoctone, del Bombino bianco. Le terre e le produzioni menzionate fino a questo punto sono afferenti al metodo champenois, o metodo classico: in assoluto il più utilizzato. Meno ricorrente è il metodo Charmat, o Martinotti. La differenza principale tra le due lavorazioni è relativa alle uve utilizzate, che nel secondo caso sono molto più aromatiche: moscato bianco, brachetto e malvasia la fanno da padrone nel metodo Martinotti, ma discretamente ricorrenti sono anche le uve Moscato giallo, prosecco e aleatico nero. Anche in questa circostanza parliamo di rifermentazione, ma mentre nel metodo classico questa avviene all’interno delle bottiglie, qui ci si serve di un autoclave, e i lieviti esausti vengono eliminati per mezzo del sistema della filtrazione isobarica. Il metodo Charmat ha origini francesi, fu messo a punto da un industriale vinicolo nella zona di Bordeaux ed oggi viene utilizzato sostanzialmente per la produzione di vini e spumanti di qualità inferiore. E’ più breve e più economico del sistema champenois, ma conserva in maniera fedele le caratteristiche aromatiche del vitigno di origine. I vini spumanti si distinguono in base al metodo di lavorazione, al vitigno utilizzato, ma anche al residuo zuccherino all’interno della bottiglia. Più alto è il residuo, più dolce sarà lo spumante, cosicché uno spumante che ha meno di 3 grammi di zucchero per litro viene denominato “Dosage zero”, mentre sarà “Brut” uno spumante caratterizzato da un residuo compreso tra i 7 e i 12 grammi al litro. Viene considerato “Demi-sec” un vino che ha dai 32 ai 50 di zucchero per litro, mentre è “Dolce” (il più dolce in assoluto) una bottiglia con più di 50 grammi di zucchero per litro. Ma come può un amatore capire se si trova o meno di fronte ad uno spumante di qualità? Quali requisiti deve avere un vino spumante per essere ritenuto “buono”? Versate lo spumante all’interno della flute ed osservate su uno sfondo bianco. Innanzitutto, la spuma deve essere abbondante e limpida, priva di intorbidimenti. Il perlage deve essere persistente: le catenelle di bollicine devono scorrere in maniera copiosa. All’olfatto, un buono spumante deve essere ricco ed emanare un profumo persistente nel tempo. I vini spumanti migliori sviluppano sentori dolci, di frutta esotica, spezie ed aromi estremamente gradevoli. L’esame del gusto, infine, è la prova del nove, la summa delle qualità dello spumante. Per essere buono, al primo impatto un vino frizzante non deve offrire la benché minima sensazione sgradevole, ma soprattutto deve avere corpo, un sapore pieno, robusto e facilmente riconoscibile. Poi, ammesso che il prodotto presenti tutti questi requisiti, chi sorseggia deve fare ancora una volta attenzione alla persistenza: quanto durano la sensazione gradevole, l’aromaticità e il corpo dello spumante? L’ultimo passo, quello decisivo, segue la deglutizione: provate a fare caso alla sensazione che percepite all’interno del cavo orale: vi sentite la bocca rinfrancata o molesta? Quale retrogusto vi ha lasciato lo spumante? Sentite ancora le bollicine danzare sulla vostra lingua? Se sì, avete appena assaggiato uno spumante di qualità. Oltre che da questi numerosi fattori, gli esperti giudicano il vino spumante e lo champagne anche (addirittura) dal tatto. Ebbene sì, è importante, nell’ambito di una degustazione, anche la freschezza trasmessa dalle pareti cristalline del bicchiere. Vista, olfatto, gusto, tatto. Per completare i cinque sensi manca l’udito, che a sua volta deve essere stimolato dal flebile scoppiettio delle bollicine all’interno del bicchiere. Insomma, lungi dal rappresentare un’azione come le altre, il buon bere è un’esperienza assoluta.Abbiamo già visto come da un punto di vista geografico, il meglio della produzione italiana di vini spumanti faccia riferimento all’Italia settentrionale: Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige sono le zone che possono vantare una produzione d’eccellenza, ma quali sono le cantine e le etichette sulle quali fare affidamento nel caso si abbia bisogno di acquistare una bottiglia di spumante. Beh, stiamo parlando di uno dei prodotti enogastronomici che meglio rappresenta il Belpaese in ambito internazionale, quindi state pur certi di avere soltanto l’imbarazzo della scelta. Dalle cantine dei sopraccitati fratelli Gancia, nel 1865, è uscito il primo spumante italiano: ancora oggi chi si affida ai prodotti dell’azienda piemontese difficilmente rimane deluso. Lo stesso si può dire per le cantine Martini, che producono uno degli spumanti dolci più squisiti in assoluto, ma per un sostanziale salto di qualità si può scegliere tra la varietà offerta dalle cantine Berlucchi, nel bresciano, precisamente a Borgonato di Corte Franca. Gli appassionati e i curiosi di enologia, o coloro che vogliono sapere di più sulla storia e sulla produzione del vino spumante, possono raggiungere l’azienda e prendere parte ad un tour organizzato alla scoperta del “segreto delle bollicine”. Non meno famose sono le bottiglie prodotte da La Gioiosa, dalle Cantine di Valdobbiadene, ma anche da Tosti, Cinzano e Fontanafredda.